
Singer: Gennaro De Masco
Corpi a denominazione incontrollata, marchi registrati che registrano il caos feticistico, scene superpop tra ruoli sociali e moltiplicazioni d’identità… Roxy in the box scivola lungo gli scaffali del supermercato, dentro gli armadietti del bagno, davanti alle mensole in cucina, tra cassetti e cassettoni stracolmi di cose. Ma, soprattutto, scivola lungo le librerie della nevrosi, negli spazi sghembi della solitudine, nei posti oscuri dell’ansia privatissima, spesso disvelata da uno specchio invisibile che filtra e stravolge le storie creative. L’ universo di Roxy è colorato, feticistico, impossibile da circoscrivere in un singolo linguaggio. L’artista prende Nutella, Soflan, Active Tabs, Kitekat ed altri prodotti che raccontano le idiosincrasie, le debolezze, i tic e le passioni di una persona a passo morbido nella folla urbana. La immaginiamo davanti ai molti marchi che diventano la storia di un personaggio, il suo timbro identitario, il confessionale anomalo di eventi privati che scopriamo pezzo per pezzo, momento dopo momento. Ogni progetto si trasforma in un racconto visivo dove la pittura si collega ad altri elementi, diversi a seconda delle esigenze specifiche. Quadri pittorici, light-box, oggetti installativi, frammenti reali, costumi, musiche: molteplici visioni per racchiudere la personalità del singolo carattere, dando l’abito e il contesto adeguato ad ogni protagonista in scena. Psicosomaro parte dalla Red Donkey Beer Femmenella parte da una Nutella roxizzata Deep End parte da Roxy Wc Active Tabs Strawberry Juice parte dal succo Roxy Blue alla fragola Kitakkat parte da un cibo per gatti davvero roxizzato Cinque racconti per cinque prodotti che invadono i supermercati e i piccoli negozi mentali di una nomade dell’immaginario urbano. Ogni marchio racchiude qualcosa di personale, descrivendo il contrappunto autobiografico che ribalta la storia stessa del marchio, il suo contenuto ulteriore, le sensibili vicende private che umanizzano gli oggetti. Psicosomaro: un quadro pittorico, cinque light-box, una panchina con cinque ciucci… Femmenella: un quadro pittorico, cinque light-box… Deep End: un quadro pittorico, alcune scatole che diventano lampade, un water che manda un video dal suo buco… Strawberry Juice: un quadro pittorico, due light-box… Kitakkat : un light-box, ciotole da gatti con caramelle, un video… In galleria vedremo le cinque installazioni appena descritte, mentre alcuni giorni prima ci sarà la performance che catapulterà il pubblico romano nel pieno Kitakkat del titolo. Vi lasciamo la sorpresa da scoprire nella serata con Stop presso XXXX. D’altronde lei è così: misteriosa e radicale, complessa oltre la pura apparenza di marchi e corpi. Roxy si identifica mimeticamente coi prodotti che sceglie e rielabora. Entra nella loro notorietà sociale per ribaltarla con un protagonismo cinicamente spettacolare, frutto di intelligenza e intuizioni visive, di ironia ma anche cultura del nostro immaginario sempre più pop. Il marchio si tramuta in persona. La persona diventa contenuto e contenitore…
Gianluca Marziani
Kitakkat Mostra Roma 2004
Backstage Videoclip 2004
Kitakkat video/pittura installazione al Museo PAN di Napoli – 2008
L’impresa dell’arte
A cura di Julia Draganovic Pan Palazzo delle Arti Napoli
Kitakkat di Roxy in the Box rappresenta un tentativo auto-ironico di rinnovare e, di conseguenza, capovolgere l’atteggiamento pop nei confronti del mercato. L’installazione dell’artista napoletana riunisce più elementi in un grande quadro che rappresenta l’artista come testimonial del marchio di cibo per gatti con un video presentato in modo seriale: sei schermi al plasma costituiscono una cornice per il quadro dalle dimensioni di un manifesto pubblicitario. Nel video l’artista recita la parte di una cliente frenetica di un supermercato: la donna vestita in un bizzarro abito barocco corre affannatamente per i corridoi del supermercato, ovviamente priva di ogni orientamento, ma molto cosciente della videocamera. E’ la vendita che conta: la vendita di cosa però? In dialetto napoletano l’allusione al cibo per gatti del titolo “Kitakkat” pone una domanda che non solo è assillante per gli artisti emergenti: “chi ti compra?” infatti, la video installazione di Roxy in the Box mette in discussione più che l’identità dell’oggetto che è in vendita: l’opera o l’artista?
Julia Draganovic
Testo tratto dal catalogo L’impresa dell’Arte – Electa Napoli Spa – 2008
“Adoro tutto ciò che è cibo confezionato; trovo magico che da un barattolo o da una scatola possano uscire dei sapori.” Sarà per questo che Roxy in the Box, al secolo Rosaria Bosso, artista napoletana ipercinetica, si propone al pubblico proprio come uno di quei pupazzi a molla che saltano a sorpresa fuori dalla scatola. Colorata, ironica, dissacrante, nevrotica, Roxy -ossessionata da quelle ansie che ben presto si rivelano le stesse di una intera società- le affronta di volta in volta con l’aiuto di una delle parrucche di cui fa collezione, di accessori fetish, o ancora di un corredo da gothic-lolita, e -in un felice gioco di ribaltamento dei ruoli- nell’identificarsi con l’ “oggetto-ossessione” lo possiede rovesciandolo, e sovvertendone il principio fondante, lo snatura, lo deride. È quello che accade in Kitakkat, surreale video girato tra gli scaffali di un supermercato di provincia che vede l’artista correre inseguita dalle sue piccole nevrosi quotidiane: i marchi che hanno ormai invaso un immaginario collettivo decisamente pop, diventandone i protagonisti assoluti. E’ così che la ben nota marca di cibo per gatti si “roxizza” -come l’artista stessa suggerisce- e nella battaglia contro l’omologazione, diventa caricatura di se stessa conquistando un nome che ne segna –ingloriosamente- il destino. Nel lavoro di Roxy in the Box, infatti, i titoli delle opere sono chiave interpretativa e sinossi del lavoro stesso: Kitakkat insieme con Io-mò (che rifà il verso al famoso yogurt) e Martiri (parodia del celebre liquore), sono solo degli esempi. Con i suoi accattivanti rimandi linguistici Roxy mette in guardia il suo pubblico -condannato a inseguire falsi bisogni e vere etichette- da riflessioni stereotipate, atteggiamenti convenzionali, -invitandolo sulle note graffianti dei Depeche Mode “no hidden catch, no strings attached…” (nessun inganno, nessun condizionamento) a diventare parte attiva nella vita del marchio con un approccio non più solo critico– come quello suggerito da Naomi Klein nel suo celebre No Logo – ma dissacratorio, volto a ridicolizzare, con ironia e disincanto, il sistema di creazione del mito.
Sarah Galmuzzi
Testo tratto dal catalogo L’impresa dell’Arte – Electa Napoli Spa – 2008