Roxy o e la doppia valenza della sua inaugurazione.
La prima valenza
Che cosa succede in questo vernissage? : “Un desvernissage”, dice.
a) Arrivano i presenzialisti, i paracadutisti, c’è l’artista, l’amica dell’artista, ci sono i conoscenti, ci sono anche altri artisti, ci sono dei critici, c’è anche un curatore; ci sono quelle che vorrebbero conoscerla, ci sono alcuni che la invidiano, altri la desiderano (che scrutano, scrutiamo, ci scrutano, come visitatori curiosi);
b) che in questa mostra sembrerebbe, si sono sforzati per restare fermi, per posare per l’artista (e non sono nemmeno consapevoli che l’ hanno fatto: No, non siamo consapevoli!);
c) e non c’è stato tempo per il trucco, né per farci veder il loro angolo migliore (il nostro angolo peggiore);
d) i loro tratti non appaiono offuscati, sono indelebili. Si mescolano, ci mescoliamo (e insieme creiamo l’ambiente).
e) e la luce bianca domina la scena (si esibiscono come un altro e insieme come un ciascuno); e di colpo c’è il buio – mah è una galleria o una discoteca? Tacciano i calici, i vini non siano versati. Nascondete i salatini, i tramezzini e le brioches.
Qualcuno dice che il Vernissage non è un ritrovo ma piuttosto uno stato di grazia; indiscussa creatrice di tendenze, stili, gusti e che è quell’ incontro lì, quel giorno lì, durante quella inaugurazione lì, che si fissa la misura del dinamico, del sorprendente e dell’innovativo.
La seconda valenza
Per moltissimi artisti le città, i quartieri, le strade, appaiono nella loro vita come una casualità, come il posto dove poter dire: io sono nato lì:
si può essere un artista americano e essere nato a New York, artista tedesco ed essere nato a Berlino, artista cileno ed essere nato a Santiago, ma non si è artista italiano se si è nato a Napoli: si è napoletano!.
a) Roxy in the box è nata a Napoli ed è veramente napoletana.
b) Si può conoscere Napoli senza andarci, basterebbe conoscere Roxy (e come se attraverso lei si vedesse quell’ immenso, brulicante e complesso squarcio di civiltà).
I soggetti (e i segreti) delle sue opere
Si fa trovare una vena umanista quando li (ci) cattura, li pesca, ci pesca, li intrappola, ci intrappola, e si sostanzia di distorsioni formali che nascondono in fondo questi atteggiamenti piacevolmente manieristici, regalando poi, senza volerlo, la chiave d’introspezione psicologica, dell’umanesimo ancestrale dei protagonisti.
Gli aspetti evocativi presentati attraverso la figurazione pop si sostanziano da robusti contenuti espressivi, con cui Roxy, articola la fusione plastica, gli schemi compositivi arditi, senza particolari sfondi decorativi, nei quali la narrazione non risulta secondaria, ma che conforma, costituisce , amalgama, una autonoma
reinterpretazione.
Questa mostra
La presenza del fruitore è cominciata non il giorno della mostra, ma prima, quando questo è stato catturato e oggi ad apertura della mostra esso stesso si guarda, ci guarda (lo guardiamo), e rimane muto ascoltando ignaro il rumore d’altra festa, una festa in cui Roxy ha cercato di analizzare meglio l’evoluzione, ma sopratutto l’attualità dell’espressività.
Antonio Arévalo
Soli nello spazio
Le icone del linguaggio contemporaneo attraversano e sostengono le monocromie confrontandosi e sintonizzandosi con i dinamismi della superficie su cui la luce scorre secondo percorsi imprevedibili.
Tra queste nuove mitologie entrano le figure di Roxy in the Box. Immersi nel proprio sé, come momento di rivelazione delle sfide interiori, i personaggi si immergono nel fragile supporto della carte da spolvero liberando una dimensione interiore intensa e racchiusa nei suoi stessi referenti.
Incapaci di credere in una struttura ideologica del passato i corpi appaiono protesi e sospesi verso un’idea di futuro.
La scelta cromatica introduce un senso di fuga da un qualcosa di non identificato, che non produce tormentate grandezze. I loro gesti, gli sguardi e i frammenti d ipotetiche azioni scorrono lungo linee precise, fortemente in equilibrio, distanti da giochi di luce e tensione.
L’artista deriva le coordinate linguistiche da un patrimonio visivo condiviso tra dada, pop-art e nuova figurazione. Le icone semantiche si trasformano in rappresentazione e svelano un potere di lettura e appropriazione di alcuni meccanismi ideologici di potere, da cui l’artista si sottrae opponendo la barriera del suono.
Le sue figure sono passaggi di esteriorizzazione della vita comune, icone dell’homo partecipans all’ ipermercato dell’informazione. L’uomo di Roxy in the Box è l’erede saturo dell’informazione, della riproduzione, della moda Campbell, della post-produzione, della post-art etc.
Non gode del voyeurismo e si incammina alla ricerca espressiva del proprio erotismo ed edonismo. Prosegue la corrispondenza tra l’ideologia politico-culturale e la forma. La formulazione esordiente dell’artista si trasfigura in tensione espressiva, formalizzazione di un gusto forse kitsch in una versione critica. La radice realista della nuova figurazione, scevra da romanticismi e sentimentalismi, è rivolta verso una possibilità di evasione, ribellione ..di soluzione diversa.
Il titolo della mostra Svernissage rammenta la rivendicazione dadà in una matiné, organizzata al Palais des Fetes di Rue Saint-Martin a Parigi (23 gennaio 1920). In questa circostanza venne portato sulla scena Tableau à effacer di Picabia. Il quadro completamente coperto di scritte fu lavato con una spugna da André Breton davanti al pubblico meravigliato e attonito. Infatti Objet à détruire, composta da Man Ray nel 1923, fu rubata.
E ancora il concetto di ipercomunicazione introdotto dal titolo riconduce al pensiero sulla condizione postmoderna di Lyotard, per cui l’intrecciarsi dei linguaggi, l’acuirsi del sapere come capacità di sopportazione, la logica del paradosso, l’eccesso di comunicazione conduce ad un bisogno di oblio.
Il bisogno irriducibile di storia e di narrazione diviene per l’artista un silenzio da imporre nella situazione della mostra.
“L’esposizione, descrive Roxy in the Box, si svolge in un buio attraversato da luci da discoteca che vanno a suon di musica. Quindi è prevista anche un’istallazione audio dove oltre ad esserci musica ci sono anche in sottofondo brusii e voci tipiche di un vernissage dei nostri tempi….il tutto forse un po’ fastidioso.
l’idea è soprattutto la necessità di comunicare voglia di silenzio rispetto all’arte….chi quindi in realtà verrà a visitare la mia svernissage, non gli resterà che assistere in silenzio a ciò che accade in galleria in quanto il casino e fastidio già ce l’ho messo io.
Protagonista del mio svernissage è una lattina di diluente sintetico…….”
Il valore ‘locale’ della maggior parte dei titoli, quasi una confidenzialità con la propria visione del mondo, configura un apparato linguistico che rende ambigua la percezione compositiva. Questi costruiscono meccanismi paesaggistici da cui si diramano percorsi e attraversamenti storico-artistici. I procedimenti sospesi tendono a formulare domande, passaggi di pensiero, di sensazioni o introduzione ad un discorso autoreferenziale. L’artista non propone risposte visibili, ci mostra con un senso anche di distanza la declinazione di spazi e relazioni centrali, da cui non deborda alcuna informazione.
Roxy in the Box programma la parola, l’immagine e il suono attorno ad una centralità che non si può individuare come memoria e quindi narrazione –ricostruzione. La sua figurazione è sempre solitaria, con sguardi e atteggiamenti di apparente disponibilità.
L’universo figurativo riproduce oggettualità e marchi di cancellazione di cui si ignora la possibilità estensiva.
In tal senso la proposta espositiva, come riscrittura di una consapevolezza, appare una forma elusiva, forse ironica, della nikename che è la maschera con cui l’artista si propone.
Il desiderio di uscita ‘mentale’ dal concetto di spazio circoscritto della scatola o di luoghi ‘altri’ performatici produce immagini di caratteri dalle dimensioni quasi reali, sospesi nello spazio vuoto e silenzioso delle superfici.
Sottratti al loro contesto o ad un mondo impossibile, i personaggi, solitari anche quando sono una coppia di amici, si aggirano nella dimensione indefinita del corpo senza ombra e denunciano una funzione sociale perduta .
Vittoria Biasi
La Svernissage – audio/pittura installazione
Nasconde la forza dissacratoria dietro la pittura pop e un approccio falsamente leggero. Alla vita e all’arte. Un bel po’ di ironia, trucco e parrucco per disvelare “l’artificiosa realtà” a colpi di colore…
Resistenza critica sembra essere la parola d’ordine di Roxy in the Box (Napoli, 1967). Critica perché l’artista, in ogni suo lavoro, esprime costantemente una tendenza allo smascheramento di certi atteggiamenti o status sociali fittizi. Dichiarata matrice pop, ma riletta in salsa napoletana –con l’ironia e il disincanto che caratterizza lo spirito campano– muove un attacco all’omologazione e all’assoggettamento socio-culturale a modelli estetici di pura superficialità.
Resistenza perché, nell’espressa opposizione a questi fatti e comportamenti, è insita la volontà di resistere in una tale società che, ovviamente, trova il suo riflesso in innumerevoli ambienti, non ultimo quello dell’arte, preso di mira nella mostra La Svernissage.
Roxy solitamente parte dal travestimento per giocare con le declinazioni della propria identità che si trasfonde in quella collettiva, nel momento dell’inevitabile riconoscimento di certe figure. Così è stato per le opere Femminella e per KitaKKat, in cui i rimandi linguistici a famosi marchi rafforzano il suo colorato universo visivo.
Allo Studio Fontaine, invece, l’artista lascia da parte i trucchi e mette in scena un continuo vernissage. Alle pareti gli enormi ritratti delle tipiche presenze da opening: la coppia fashion, la signora sempre attaccata al tavolo del rinfresco, il finto trasgressivo. E poi lei, l’artista. Unica concessione al cambiamento d’aspetto è il colore dei capelli, nero come lo straccio con cui tenta di pulire, sverniciare. Poco considerata dagli invitati, si raffigura quasi sempre in posizione di secondo piano, intenta a portar via lo sporco malamente occultato che annerisce la pezza che ha in mano.
Quasi una dimessa lavoratrice, di contro alle consuete divertenti pose della sua produzione, in cui sempre traspare una prorompete e simpatica femminilità.
Le luci stroboscopiche trasformano la galleria in una specie di discoteca, una festa accompagnata da musica trash –come il mixaggio della sigla del telefilm Wonder Woman– e un continuo, fastidiosissimo chiacchiericcio. Un ritratto del grottesco mascherato dal velo mondano.
Federica La Paglia
mostra visitata il 10 dicembre 2005
La Svernissage – Roxy in the Box. a cura di Antonio Arévalo
testi in catalogo di Antonio Arévalo e Vittoria Biasi
Studio Fontaine, Via Cardinal La Fontaine 98/a, Viterbo